di Franco
Astengo
Una riflessione sul tema dominante
nella più stretta attualità: quello dell’emergenza sanitaria.
Alcuni
passaggi meritano di essere rimarcati proprio perché sollevano questioni di
fondo:
1) Il mutato rapporto tra autonomia della
scienza e della tecnica (in questo caso sanitaria) e i diversi livelli di
decisionalità politica. L’egemonia della scienza e della tecnica appare fattore
determinante nel definire gli equilibri a livello geopolitico;
2) L’intreccio tra politica e vita
biologica (l’autore affronta l’argomento nella prima parte del suo testo)
finisce con il provocare uno spostamento delle procedure democratiche ordinarie
verso disposizioni di carattere emergenziale. Ciò avviene in una fase di forte
crisi della democrazia liberale dovuta al processo di cessione di sovranità da
parte dello “Stato-Nazione”. Cessione di sovranità avviato fin dagli anni ’90
in due direzioni: verso il decentramento interno e verso la sovranazionalità.
In Italia il
quadro complessivo è condizionato inoltre dalla debolezza del sistema ormai da
molto tempo in forte difficoltà di legittimazione.
Una difficoltà
di legittimazione dovuta a ragioni molto complesse legate al mutamento nella
struttura politica, in particolare al riguardo del sistema dei partiti su cui
si era basata per lunghi decenni la nostra identità repubblicana e la nostra
vita istituzionale sia a livello parlamentare sia nelle autonomie locali.
In questi
giorni il nodo della decisionalità d’emergenza è apparso quanto mai intricato
da sciogliere rispetto alla relazione “centro-periferia”.
Quella tra
“centro” e periferia è apparsa come una frattura tornata a definirsi come
“dominante” nel quadro di un modificarsi non ancora sufficientemente analizzato
dell’insieme di stridenti contraddizioni che stanno emergendo nella
“modernità”.
In questi
giorni si è anche tentato di proporre una “Costituzione materiale” fondata sul
rimodellamento della struttura dello Stato nel senso di un riaccentramento dei
poteri. Un riaccentramento dei poteri addirittura
minacciato da un Presidente del Consiglio capace di perpetuare sé stesso
cambiando maggioranza, senza mai essere passato da una prova elettorale.
Ovviamente,
negli anni scorsi, sul terreno del decentramento dello Stato e del cosiddetto
“federalismo” sono stati commessi degli errori, valutando malamente proprio il
riaffacciarsi della frattura “centro-periferia”. Si prenda ad esempio la
frettolosa modifica del titolo V della Costituzione attuata dal governo di centrosinistra
nella fase finale della legislatura 1996-2001 e la messa in moto dell’infernale
macchina (mascherata dalla ricerca della stabilità di governo) dell’elezione
diretta di Presidenti e Sindaci, una modifica rivelatasi fonte di sprechi
immensi e di ulteriore distacco tra i cittadini e le istituzioni. Adesso, però,
è in atto un tentativo di passaggio verso una situazione nella quale le leve
del potere principale, quello di erogazione delle risorse, ritorna come
elemento competitivo tra il potere centrale e quello locale. Entrambi i soggetti intendono usarlo -
ancora una volta - in funzione di una proposta di contrattazione da “scambio
politico”.
Le ordinanze
amministrative, emanate approfittando della presunta emergenza, stanno già
(provvisoriamente?) modificando quei rapporti tra la prima e la seconda parte
della Costituzione Repubblicana che avevamo, a suo tempo (referendum
costituzionali 2006 e 2016), giudicato intangibili proprio per via del sottile
equilibrio esistente tra diritti, doveri e attuazione delle norme in materia
delle strutture operative dello Stato e della società.
Si sono così
mutate le condizioni della vita quotidiana variando i canoni stabiliti della
relazione tra ii necessari riferimenti di governo della cosa pubblica.
L’emergenzialità
imposta dalla prevalenza della biopolitica capace di imporre una sudditanza
alla politica che ha “sbiadito le proprie coordinate ideologiche” ha
così determinato uno scontro inedito tra l’esercizio del potere di
decisionalità e l’incombenza dettata dai bisogni del territorio. Uno scontro
sul quale si sono misurati i diversi livelli istituzionali con andamenti ed
esiti perlomeno opinabili. Emergono così tutte le storture di modelli di
sviluppo posti in maniera sbagliata sul piano della competizione interna e internazionale
(come nel caso del Veneto).
Nel sistema
politico italiano non sembrano stare più al loro posto i soggetti di
intermediazione sociale, di aggregazione del consenso, di formazione
dell’opinione pubblica realizzata attraverso l’esercizio di una funzione di
pedagogia di massa. Formazione dell’opinione pubblica,
funzione di pedagogia di massa, aggregazione del consenso, intermediazione
sociale: tutti compiti ormai affidati ad agenzie “esterne” al sistema politico.
Agenzie
“esterne” operanti prevalentemente nel campo dell’illusionismo mediatico che
rispondono a proprie specifiche sollecitazioni socio-economiche e agiscono per
interessi di carattere sicuramente particolare, corporativo se non addirittura
di natura individualistica come avviene attraverso l’utilizzo dei social
network.
Tutto questo si
sta verificando in assenza - tra l’altro - di quegli organismi sovra-nazionali
cui erano state demandate nel tempo una parte delle prerogative statuali. Ci sarebbe da discutere a fondo su questi temi ma pare ci si stia riducendo
a schermaglie per arrivare semplicisticamente all’esercizio di un potere quanto
mai effimero e inconsistente rispetto al velocissimo mutamento in atto nella
realtà delle cose concrete.