di Franco Toscani
Elaborazione di Giuseppe Denti |
Nel tempo della pandemia (che, come ha sancito ufficialmente all'inizio di
marzo l'Organizzazione mondiale della sanità, è l'epidemia di coronavirus o
Covid-19 estesasi a livello planetario) la sofferenza è universale. In questi
frangenti ci sono rivelate nel modo più brutale, spietato e collettivo la
fragilità, la finitezza e la mortalità costitutive degli esseri umani,
l'assurdità della dismisura, di ogni mito e culto dell'onnipotenza. Tutti in
qualche modo soffriamo, però in modi e forme anche notevolmente diversi.
La sofferenza e
il peso maggiori - non va mai dimenticato - riguardano i malati e gli
emarginati, tutto il personale sanitario costretto a turni di lavoro
massacranti e a prodigarsi in condizioni difficilissime, tutti quei lavoratori
della produzione e dei servizi che sono in prima linea per aiutare in vari modi
la società. Un'immensa gratitudine, non del tutto esprimibile a parole, va a
tutti coloro che operano continuamente per gli altri, per risanare, provvedere
ai bisogni essenziali della popolazione, alleviare le pene, limitare i danni,
evitare il peggio.
Ci sono poi una
sofferenza psichica e interiore, un disagio e un malessere, una paura e
un'angoscia che ci concernono tutti indistintamente, in varia misura, coi quali
dovremo imparare a convivere e che già cerchiamo faticosamente di gestire e
controllare, in nome dell'amore per la vita e per la convivenza. Ci proviamo,
almeno dobbiamo assolutamente provarci, perché la mera disperazione non conduce
da nessuna parte, anzi ci paralizza e impedisce l'azione.
Anche la
prospettiva che questa situazione, soprattutto il rischio di contagio, possa
durare non pochi mesi, è davvero rattristante e inquietante. Per non parlare
della crisi economico-sociale che si sta profilando, con ogni probabilità di proporzioni
gigantesche, planetarie. Come ha detto un medico intelligente, riferendosi a sé
stesso, recentemente intervistato in televisione, oggi "nessuno può fare
lo Zarathustra" e atteggiarsi a facile profeta. Un pizzico di umorismo e
di sana autoironia ci fa bene anche in questi frangenti.
Fatti per la vita
sociale, di gruppo e di relazione, abituati ai riti e ai culti della civiltà di
massa, nelle presenti circostanze agli uomini è improvvisamente impedita la
normalità di questa vita, pensiamo soltanto all'obbligo del mantenimento delle
distanze tra le persone, all'impedimento degli abbracci, delle strette di mano,
dei gesti affettuosi, dei contatti ravvicinati. Ognuno è in qualche modo
paradossalmente invitato e per certi aspetti obbligato - proprio per
rispettarci più profondamente - a diffidare dell'altro, a non aprirsi
all'altro, a sospettare il contagio ovunque, a mantenere le distanze, appunto. È
amarissima - ancorché indispensabile e necessaria, beninteso - questa riduzione
drastica e pesante, questa perdita secca dei livelli normali della qualità
della vita, delle relazioni e della socialità.
Colpiscono molti
volti, sguardi, movimenti, atteggiamenti, gesti, spesso muti, mesti, discreti e
quasi impercettibili, ma anche pietosi, solidali, gentili, cortesi, partecipi,
più che mai coscienti e rispettosi. E' la ricchezza della nostra umanità
colpita e ferita, che non può esprimersi pienamente, ma che scopre e vive la
condizione comune di sofferenza, disagio e impedimento. Ci sono pure
meravigliosi volontari che prestano aiuto come possono, veri e propri piccoli e
grandi eroi della nostra vita quotidiana tribolata, testimonianze luminose
della nostra umanità.
Molti, per
fortuna, capiscono che siamo tutti "sulla stessa barca", che nessuno
- nemmeno Trump, Johnson e Bolsonaro - può permettersi di fare il gradasso o lo
sbruffone in questa situazione così tragica e dolorosa. Nessuno di quelli che,
giovani o vecchi, sono ancora sani o non contagiati dovrebbe dimenticare che ci
sono quelli che hanno bisogno, stanno male o, comunque, stanno peggio di loro.
Foto: Azzurra |
Nell'isolamento,
nell'apprensione e nella desolazione universale, io, ad esempio, riesco ancora,
almeno per il momento, a lavorare e a scrivere queste note: ne sono pienamente
cosciente e quasi me ne vergogno, ma è pur vero che devo farlo e che ciascuno è
chiamato anche al dovere sacrosanto di non cadere vittima di una depressione
paralizzante e pericolosa (specialmente in queste condizioni di vita sociale),
alle esigenze della convivenza, di proteggersi e di proteggere gli altri,
come e per quanto possibile, almeno cercando di non ammalarsi e di
non contagiare.
Non possiamo però
dimenticare che, nemmeno in queste circostanze così aspre per tutti, continua
ad agire l'umanità meschina, peggiore degli sciacalli e degli avvoltoi, degli
approfittatori e degli opportunisti, del "familismo amorale", di
coloro per cui vale il motto "tanto peggio per gli altri" e che
pensano soltanto a sé stessi, al proprio "particulare": mi riferisco,
ad esempio, a quegli sciagurati che cercano di truffare gli anziani
introducendosi nelle abitazioni e spacciandosi per personale sanitario, a
quelli che hanno consapevolmente contagiato altri andandosene tranquillamente
in giro o speculato sul prezzo delle mascherine, a coloro che corrono all'accaparramento
di beni alimentari nei supermercati o di prodotti sanitari nelle farmacie.
Occorre fare attenzione anche a questa umanità irresponsabile e incosciente o
comunque scarsamente responsabile tuttora in piena attività.
Sarebbe
auspicabile che da questa tragedia potesse spuntare un "nuovo
inizio", una ri-nascita, avviarsi un processo di umanizzazione reale, in
nome di quella globalizzazione della fraternità e della cooperazione, della
solidarietà e della condivisione indicata pure, profeticamente, da papa
Francesco.
Una delle verità
principali che questa pandemia ci consente di riscoprire è quella che il
buddhismo chiama la "co-produzione condizionata" o "genesi
interdipendente" di tutti i fenomeni, ossia il fatto che l'interrelazione
o interdipendenza universale concerne tutti gli esseri e le cose; nessuno o
nessuna cosa può sognarsi uno "splendido isolamento", può fare l'
"anima bella". L'uomo non è un dio né una bestia, diceva già
Aristotele, ma un animale razionale, sociale e politico.
In questa stessa
direzione, anche il grande pensiero filosofico europeo e italiano ha parlato
sovente di intersoggettività, di relazionismo e di "ontologia
chiasmatica": penso qui soprattutto a Edmund Husserl, Enzo Paci e Maurice
Merleau-Ponty.
Più che mai attuale
è pure il messagio della poesia La ginestra (1836) di Giacomo
Leopardi, che richiama gli uomini - a partire dalla condizione umana e dalla
sventura comune - a riscoprire le ragioni della fratellanza e dell'amore
reciproco, della solidarietà e della cooperazione.
Molti potranno
riconsiderare e rivalutare tutto ciò, ma non è scontato. Per il momento, siamo
ancora nella bufera, ci occorrono molta pazienza e molto coraggio (o forza
del cuore, come dice ottimamente Vito Mancuso), molta coscienza, responsabilità,
azione solidale e concreta.