UNA VITA REGALATA
di
Oliviero Arzuffi
Lavorare stanca: intitolava una sua opera
Pavese. Non solo: abbruttisce anche. Peggio: ci rende così “cosa” che qualunque
“roba” ha più valore di noi. Non tutti i lavori, però. Solo quasi. Ce ne è uno,
in verità, più “liberale” e che rende l’uomo simile a Dio: quello di far
lavorare gli altri. Pochi, pochissimi questi divini privilegiati. Alcuni te li
trovi alla testa di imperi economici i cui confini sono via via definiti dalla
circolazione delle masse monetarie o stagliati sui diagrammi delle borse. Altri
stanno seduti su scranni che fanno tremare il mondo. Altri ancora li puoi
scovare appollaiati sui picchi di calcoli infiniti o immersi in astruse formule
chimiche, tutti presi dall’ebbrezza di reinventare il mondo, a spese degli
altri naturalmente: sgobbanti. I più furbi si affacciano impunemente al
televisore a dirti che lavorare fa bene alla salute, salva l’anima dai rischi
della perdizione, fa godere i cittadini per il PIL in crescita e i governanti
per le casse pubbliche da depredare. E tutti noi, comuni mortali, a testa bassa
e con le spalle penzolanti: faticare, produrre e consumare. E poi ancora:
consumare, produrre, faticare. Infine: produrre, faticare, consumare. Altro non
c’è sotto il sole. Ma neppure sopra, temo.
Quando
infatti Dio creò il cielo e la terra, fece l’uomo a sua immagine e somiglianza,
e lo mise in uno splendido giardino dicendogli testualmente: “Goditi il
giardino e i frutti del giardino, ma…”. Anche Lui. Poi è arrivata la donna. E
il serpente, dietro. E l’una e l’altro, perversamente, hanno fottuto l’uomo,
con una volgare mela. Da allora: faticare, produrre e consumare. Un eterno,
infinito ritorno di condanna.
Voglio
una casa da abitare, un giardino da godere, una pianta sotto la quale riposare.
E il sole davanti splendente e non ammosciato dietro il fumo grigiastro. Voglio
l’erba del campo su cui adagiare svogliatamente le membra e impigrire il
pensiero. Voglio vicino il gorgoglio dell’acqua che scorre e il cinguettio
della rondine che muore lontano. E che l’ombra delle sue ali mi portino lassù,
in alto, umanamente… nel sogno.
Vedo
i furbi che tacciono, perché hanno smarrito la voce. I sapienti confusi, perché
hanno sbagliato i calcoli, finalmente. I potenti che tremano. I privilegiati
che mendicano. E Lui, l’“Assiso sul trono dei cieli”, che scende a sporcarsi le
mani nei solchi della terra, per faticare, umanamente, con noi.
Voglio
l’uomo. E una vita regalata: una buona volta.