Francesco Curto in un disegno di S. Cavallini |
Lettera
al Direttore
Caro
Direttore,
siamo
tutti agli arresti domiciliari, abbiamo tutto il tempo a nostra disposizione,
ma nessuno, a me succede, ha voglia di fare niente, di leggere, di scrivere, di
dire parole nuove perché in questo drammatico momento tutto è scontato e forse
tutto inutile. In compenso ognuno di noi muovendosi per casa è assillato,
sopraffatto, violentato dalle notizie della televisione e dalla radio che ci
sommergono di programmi con dibattiti con profezie di inizio e fine di questo
coronavirus, piccolo e invisibile nemico dell’uomo. Non sappiamo quando ci
resteremo in questo isolamento. Forse è la punizione giusta per tutte le nostre
colpe commesse a danno del bene comune: la terra, il mare, l’aria. Questo
ospite non gradito e inatteso sta mietendo morti e azzerando quella generazione
della recente memoria storica del nostro paese, umiliandola fino al punto di
restare soli senza neppure un saluto al momento dell’addio. Siamo prigionieri
di noi stessi, depressi e impauriti, spaesati e sconvolti, insomma sperduti
senza una speranza certa. Radicalmente cambiati in così poco tempo, ma non
sappiamo ancora come saremo domani. Come rimargineremo le nostre ferite, chi ci
sosterrà perché saremo sempre più soli dentro una solitudine che non ha via
d’uscite. Sempre più assillati a scorgere un domani in cui poter ritrovare il
gusto delle piccole cose, la gioia di una passeggiata nel raccogliere un ramo
di pesco fiorito, di bere un caffè con l’amico ritrovato. Forse non ritroveremo
neanche l’amico perché in questo tempo “sospeso”, come direbbe mia moglie,
l’amico è andato senza potergli dare un ultimo saluto. Siamo martoriati in ogni
momento dai notiziari che ci dicono della caduta delle borse, dell’economia in
recessione, del debito pubblico incontenibile, della chiusura delle fabbriche e
di nessuna garanzia di ritrovare dopo il proprio posto di lavoro. Penso a chi
una casa non ce l’ha, a chi ha difficoltà economiche e a quanti afflitti dalla solitudine
e dalla malattia. Il mondo ha la sua pandemia, forse la fortuna per chi ha
scommesso su profitti che ne ricaverà. Il covid19 è la guerra dei tempi
moderni, senza confini e senza muri (per fortuna direi io; la morte non guarda
in facci a nessuno diceva mia madre). Siamo tutti dentro un rischio che non
possiamo calcolare. Perciò siamo tutti coinvolti (De Andrè). Ma è
difficile vivere senza contatti umani, non possono supplire i social media con
tutti gli strumenti di cui disponiamo, alla stretta di mano, ad un abbraccio,
ad un bacio e a non poter fare l’amore.
Oggi
siamo veramente una monade (Leibniz) ma non siamo di alto livello,
insomma non siamo dio. Il solo pensiero di questa lettera è per le nuove
generazioni. Soltanto loro potranno cambiare questo vivere ad alto rischio,
perché la terra è il bene comune (Bergoglio) e il futuro appartiene a loro. Noi
abbiamo avuto il nostro tempo, ora è giusto che sia il tempo di quanti vedranno
il domani, riappropriandosi delle piccole cose e magari apprezzare la ricchezza
della pace e della libertà di ognuno. Concludo confidandoti direttore, che non
ho neppure la forza di invocare e pregare, perché la religione che ho dentro mi
basta. Troppe divisioni, tante guerre in nome di un solo dio. Se ne può forse
fare a meno di gridarlo e farne una bandiera. Ognuno ha la sua umanità per
dialogare con gli altri e nel rispetto di ciascuno difendere questo unico mondo
di cui disponiamo. La ricerca scientifica? Potrebbe aiutare l’uomo e la natura per
preservarla e custodirla, per poi consegnarla a chi verrà dopo. Basta guerre:
le guerre non sono mai vinte.
Francesco
Curto