Tra memoria e speranza
di Emilio Molinari
Una analisi impietosa sulle contraddizioni che
oppongono mondo del lavoro e destino comune. Ora è tempo di riprendere il
discorso. Non possiamo più tollerare fabbriche di morte e armi militari di
sterminio. Il coronavirus è un monito per tutti. [A.G.]
Uno spunto per ragionare su di un avvenimento senza
precedenti e i segnali che vi si possono leggere nei comportamenti della gente.
Ecco, qui vorrei parlare di una classe sociale che si è evaporata e di alcuni
suoi comportamenti poco osservati: i lavoratori hanno scioperato autonomamente
per la salute di tutti. I sindacati hanno minacciato lo sciopero generale. Il
governo sotto pressione chiude le fabbriche. Per la prima volta, a memoria di
un ottantenne come me, alla minaccia del collasso economico e dei posti di
lavoro, la gente dice: prima la salute.
Prima la vita?
Sono solo comportamenti e solo di alcuni
lavoratori che si sommano all'altruismo straordinario di chi lavora per
garantirci servizi essenziali.
Uno sguardo verso gli altri? Voglio sperarlo e
forse lo enfatizzo, ma è da non dimenticare nei ragionamenti che si faranno
dopo, su questi giorni.
Conserviamone memoria per il dopo virus, quando i
problemi che abbiamo ignorato o accantonato ce li troveremo ancora tutti,
drammatici come pandemie: clima, acqua e aria inquinate, profughi, emigrazioni
ambientali e guerre, consumismo e collasso produttivo globale. Che si potranno
affrontare solo con profonde trasformazioni. Ora voglio solo soffermarmi su questo
spiraglio degli scioperi.
A memoria di un ottantenne i lavoratori hanno
sempre ignorato i disastri prodotti dalle loro fabbriche inquinanti, dalle loro
miniere, dalle loro estrazioni di petrolio, dai loro rifiuti tossici, dalla
loro plastica, dalle loro armi... in una parola, indifferenti da ciò che genera
il loro lavoro.
Giustificabile, quando non c'era conoscenza dei
pericoli della Casa Comune... e quando l'alternativa era la fame e non l'ultima
generazione di cellulari.
A mia memoria, i lavoratori hanno sempre
contrastato e talvolta minacciato chi chiedeva di modificare o convertire le
produzioni pericolose per l'umanità.
In una parola, sono stati e sono il più forte
ostacolo di massa al cambiamento del modello produttivo che ci sta portando al
disastro planetario.
Solo pochi mesi orsono, lavoratori, sindacati e
istituzioni locali, sono insorti per una piccola tassa sulla plastica.
La memoria mi rimanda a scontri con i lavoratori
davanti ai cancelli delle fabbriche dell'Acna di Cengio e di Paderno, della
raffineria Rondinella di Pero, della centrale nucleare di Caorso, della
Caffaro di Brescia... Mi rimanda alle mie denunce, inascoltate dai lavoratori,
nei primi anni '90 per le tonnellate di rottami radioattivi che arrivavano
nelle acciaierie bresciane e diventavano tondini, pentole e una discarica
radioattiva di Capriano del Colle (Bs). Chiusura, incomprensione, sguardo che
non esce da confini vicini, che non vede mai l'umanità e la natura, ma posto di
lavoro da difendere passando sopra ogni valore, stretti, assieme al destino del
proprio padrone, contro i cittadini, contro gli ambientalisti.
Questi scioperi, queste priorità date alla vita e
al bene pubblico, restituiscono
umanità ad una classe, che l'ha persa grazie alla suicida debacle dei grandi
partiti di riferimento.
I lavoratori sono usciti per questo dalla storia e se perdono l'occasione di
questa drammatica situazione, la loro uscita sarà per sempre. Diventando ancora
più strumenti per nazionalismi impazziti e crudeli.
Si è fermato il Mondo! È successo qualcosa di incredibile,
che solo la fantascienza ha delineato. Ed è una occasione, non posso che
sperarlo, quella della classe lavoratrice che può tentare di riprendersi un
ruolo.
Una occasione che chiede leader sindacali e
politici all'altezza... che per il momento non ci sono.
Ma ci rendiamo conto che il Mondo ha solo due leader?
Un vecchio Papa e una ragazzina come Greta Thumberg.
Gli scioperi, l'altruismo, i mille esempi di
solidarietà, possono diventare segnali di disponibilità ad affrontare le
emergenze poste dal Pianeta che ci respinge. Le fabbriche e le produzioni, lo
vediamo, si possono fermare e si possono convertire. Si possono abbandonare le
produzioni che generano disastri, come le armi, l'energia da combustibili
fossili. Si possono rallentare i consumi inutili ed effimeri. Si può produrre
per il recupero ambientale e per i diritti fondamentali come la salute. Sintetizzerei
così un nuovo ruolo per i lavoratori: Riconversione ecologica, priorità a
lavori che garantiscono i diritti alla vita, universalità, gestione partecipata
(cogestione) delle aziende strategiche e dei servizi essenziali, finalizzata
alla conversione.
Un idealistico sogno da quarantena?
Ho lavorato in fabbrica 25 anni. I lavoratori del
mio tempo non avevano coscienza dei problemi ambientali. Per un attimo negli
anni ’70 con Medicina Democratica fummo protagonisti di una grande stagione,
quella della “Salute in fabbrica”; ma non riuscimmo a guardare oltre i muri
aziendali. E sempre per un attimo, negli anni '80 alcuni compagni operai di
Democrazia Proletaria furono protagonisti di esperienze straordinarie, alla
centrale di Caorso nella denuncia puntuale degli incidenti e alla Breda di
Milano nell'impedire l'uscita di componenti bellici durante la guerra Iran-Iraq.
Democrazia Proletaria costruì persino un muro di mattoni davanti ai cancelli.
Episodi isolati dagli stessi compagni di lavoro,
condannati dai partiti, gli ultimi fuochi del '69. I lavoratori del mio tempo
però avevano coscienza dello stato sociale e di essere i pilastri della
democrazia. Lo vedemmo in piazza Duomo nel 1969 dopo la bomba di Piazza
Fontana. E avevano coraggio i lavoratori. Il coraggio che gli veniva da una
appartenenza e da un ideale.
Generazioni che hanno rischiato il posto di
lavoro, le cariche di polizia e gli arresti per questo ideale, sfidavano i capi
e i padroni per questo. Negli anni '50 entravano in fabbrica mostrando l'Unità,
il giornale proibito e nell'autunno caldo distribuivano i volantini dei CUB,
altrettanto proibiti.
Memoria di un ottantenne soggetto a rischio?
Nostalgia, stupido idealismo?
La nuova organizzazione del lavoro ha annullato i
lavoratori? Forse.
Ma forse è solo il consumismo che è passato come
un rullo compressore su tutte le coscienze, su tutte le classi, su tutti i
generi, e noi non abbiamo riletto sufficientemente Pier Paolo Pasolini che
definì il consumismo la forma più totalitaria del fascismo.
In questi giorni confesso che ne ho piene le
scatole di bandiere tricolore e inni di Mameli, di martellanti richiami al “ce
la faremo perché siamo un grande paese”.
Il tempo del coronavirus è diventato uno show
globale. Io non riscopro il '900, ma dalla mia ringhiera ho cantato
l'Internazionale. E ho scoperto quanto siano belle le sue parole. Quanto siano
lontane dal mito del lavoro, dalla retorica ideologica. Quanto siano prive
d'ogni chiusura settaria, comunista o anarco/antagonista, quanto sia grande
universale lo sguardo che abbracciano.
“(...) Noi non siam più nelle
officine, sotto terra, nei campi, al mar. La plebe sempre all'opra china senza
ideale in cui sperar... Su lottiamo l'ideale nostro alfine sarà
l'Internazionale futura umanità...”
Bello eh? Non siam più... un invito ai lavoratori
a non stare più chiusi con cuore e cervello nello stretto orizzonte del proprio
lavoro, del proprio paese... Di non essere più plebe china, di alzare lo
sguardo all'Umanità... all'umanità capite? termine a cui nessuna politica
odierna pensa più.
[Milano, 26 marzo 2020]