di
Fosco Giannini
Lo
scritto che qui pubblichiamo, arrivatoci da persone di cui abbiamo stima, è
indubbiamente di forte impatto ed esprime sacrosante verità. Stupisce, tuttavia, non trovare alcuno accenno alla politica espansionistica, militarista
e guerrafondaia di Russia e Cina, tanto per fare qualche esempio.
Contribuiscono anche queste super-potenze al dolore del mondo, ed alla
distruzione della ricchezza portando la spesa militare al primo posto, mentre
le classi subalterne sono sempre più povere e disperate. [A.G]
“Dopo
il Coronavirus niente sarà più come prima”
“Tutto questo finirà, ma niente sarà più come
prima”: questa è la frase forse più ricorrente, in questi giorni,
tra l’esercito di analisti di questa fase segnata dal coronavirus. Non si sa
bene a che cosa si alluda con questa frase, che con il suo “ceppo” ideologico
oscuro può dire tutto e il contrario di tutto: forse si allude al fatto che, dopo,
dovremmo essere più uniti e solidali? Più uguali? Oppure che dovremo essere
ancor più attenti alla chiusura dei confini e delle frontiere? Che la serenità
la si riconquisterà attraverso lo “status quo ante”, e cioè attraverso
il ripristino di quella disuguaglianza strutturale che permette alla minoranza
di vivere molto meglio della maggioranza?
Oppure che dovremmo essere meno attratti dalle merci e rivolgerci di più
ai valori essenziali della vita, tra cui l’uguaglianza sociale? O, al
contrario, vuol dire: “Resistiamo, per una fase verosimilmente breve, poiché
presto tutto finirà e ricomincerà la festa”? La festa dei consumi sfrenati e
della libertà intesa come apologia dell’individuo, dell’individualismo come
categoria antropologica necessaria al capitalismo e che oscura, e ancor meglio rimuove,
la visione delle altrui sofferenze? E, dunque, delle nostre colpe?
Militari americani |
Come sempre, il modo ideologico con cui usciremo dalla
crisi sarà dettato dai rapporti di forza sociali concretamente in campo. Ma
certo sarebbe bene oggi, proprio oggi, in questa fase segnata dalla paura
dell’intera popolazione italiana, poter far sì che questa paura si confrontasse
con le paure di altri popoli, al fine di dischiudere gli occhi, prendere
coscienza, riconquistare umanità. In questi giorni di espansione dell’epidemia
gli scienziati, il potere politico, gli artisti chiedono - giustamente - alla
popolazione italiana di restare a casa, di sacrificarsi. La paura cresce e le
famiglie conoscono il dolore della malattia e delle morti. Non sarà così
popolare dirlo, ma se vogliamo che l’esito ideologico, filosofico, di questa
crisi epidemica sia il più positivo possibile e ci renda tutti migliori, questo
è proprio il tempo di mettere in relazione la nostra attuale sofferenza con
quella, anch’essa attuale, contemporanea, di altri popoli, anche a noi
vicinissimi. Sofferenze (terribili, incommensurabilmente superiori a quella che
oggi noi stiamo vivendo) che alla stragrande maggioranza della popolazione
italiana sono tuttora sconosciute.
Militari americani |
Prendiamo le sofferenze del popolo iracheno: la guerra degli
USA, della NATO e di tanta parte del fronte occidentale contro l’Iraq inizia
nel 1991 ed è, nell’essenza, ancora in corso. Si voleva il petrolio iracheno
sia per i profitti delle multinazionali che per garantire gli alti consumi di
tutti noi occidentali. Si voleva eliminare Saddam Hussein, uno non molto
incline ad obbedirci. La “nostra” lunga guerra ha prodotto circa 2 milioni di
morti tra la popolazione irachena e circa 1 milione di profughi (molti di essi
si trasformeranno nel “popolo dei gommoni”, tanto odiato da Salvini). Noi
italiani oggi sentiamo il disagio di restare chiusi in casa, per non allargare
il contagio. E chiamiamo, questa, sofferenza. Sarebbe bene, tuttavia, proprio in
questa circostanza, capire finalmente il disagio di milioni di iracheni che dai
primi anni ’90 sino ad ora, per i “nostri” bombardamenti, sono senza più casa,
senza più acqua, senza più luce, senza più cibo, senza lavoro, senza più
ospedali, senza più scuole, tutto distrutto dalle “nostre” bombe. Dal 1991 sino
ad oggi: trent’anni.
Militari russi |
Scriveva già anni fa Cecilia Bertoli, a proposito della
guerra contro l’Iraq, in un articolo intitolato “La guerra contro i bambini”: “Secondo
un rapporto dell'Unicef pubblicato nel 1998 ogni mese in Iraq muoiono
quattromila bambini come conseguenza delle sanzioni economiche (USA e
occidentali, n.d.r.), nei primi otto anni di embargo sono morti mezzo
milione di bambini. Dall'inizio dei bombardamenti e delle sanzioni è aumentata
sensibilmente la diffusione di alcune forme tumorali, linfomi e della leucemia.
I medici e gli scienziati iracheni affermano con certezza che senza dubbio
questo aumento è dovuto alle armi radioattive e all'uso dell'uranio impoverito,
(utilizzato durante la Guerra del Golfo da americani e inglesi su tutti i campi
di battaglia del sud). A causa delle sanzioni l'Iraq non può ricevere le
apparecchiature e le consulenze scientifiche indispensabili per decontaminare i
campi... Allo stesso tempo, il comitato per le sanzioni di New York ha bloccato
e trattenuto alcuni strumenti e medicine di importanza vitale: farmaci per le
chemioterapie e perfino gli antidolorifici. I medici vedono morire ogni giorno
bambini affetti da forme tumorali che con la terapia giusta avrebbero buone
possibilità di guarire, e per giunta senza poter nemmeno somministrare loro
degli antidolorifici nelle fasi terminali della malattia. Per quello che
riguarda la leucemia, i medici sono costretti, dopo la diagnosi, ad aspettare
impotenti la morte dei bambini che, con il giusto apporto di farmaci,
potrebbero essere salvati. Basterebbe una combinazione di tre antibiotici, ma a
loro è possibile somministrarne solo uno, senza perciò sortire alcun effetto.
La stessa sorte colpisce i bambini affetti da meningite. Le medicine così come
i vaccini arrivano in maniera molto sporadica e discontinua, perciò non è
possibile per i medici attuare nessun piano terapeutico per la cura”.
Militari russi |
In una lettera del 13 settembre del 2000, così scriveva, tra
l’altro, padre Jean-Marie Benjamin all’allora Segretario Generale dell’ONU Kofi
Annan, in relazione all’attacco militare USA-NATO e Occidente contro l’Iraq: “Un
Paese distrutto da 135.000 tonnellate di bombe (dalla guerra del Golfo
ad oggi), equivalente a sei volte la potenza distruttiva della bomba di
Hiroshima, per di più rinchiuso in un vasto campo di concentramento, che è
l’embargo. Epidemie che si sviluppano in tutto il Paese, ospedali che versano
in situazioni catastrofiche e quando arriva un medicinale, il dramma dei medici
è quello di dover decidere a chi somministrarlo, di fronte a centinaia di casi
uno più urgente dell’altro… Dalle cifre dell’UNICEF, il tasso di mortalità
infantile 'è il più elevato al mondo': oltre 500.000 i bambini morti, oltre
1.500.000 i civili. Da 56 bambini, al di sotto dei cinque anni, morti su 1000,
nel 1991, a 131 su 1000 attualmente. Dal programma mondiale per
l’alimentazione, la disponibilità alimentare è scesa da 3120 a 1093 calorie al
giorno per abitante. Le malattie mentali sono aumentate in 10 anni del 18% (ultimo
rapporto dell’UNICEF del 29 agosto 1999 “Iraq: mortalità infantile e
sopravvivenza”)…
Militari cinesi |
In Iraq manca di tutto: acqua potabile, latte, verdure,
carne, medicine, materie prime, macchinari e pezzi di ricambio. Le categorie
professionali più agiate (tecnici, insegnanti, specialisti) sono
pagate da 5 a 10 dollari al mese (circa 18.000 lire); le classi
medie della popolazione da 3 a 5 dollari al mese (l’equivalente del
prezzo di due chili di carne) e le categorie inferiori, che non hanno
praticamente nessun reddito, devono sopravvivere alla giornata… Sono state
distrutte dai bombardamenti 8.613 scuole (su un totale di 10.334).
Nel sistema scolastico, la situazione dell’istruzione e della cultura è
catastrofica e rispecchia in pieno l’attuale condizione del Paese. Solo un
terzo dei bambini in età scolare riceve un’istruzione adeguata. Molti ragazzi
non vanno più a scuola perché costretti a mendicare, altri, per sopravvivere,
si lasciano trascinare nel vortice della delinquenza o della prostituzione… Non
si tratta solo di un popolo che muore di fame e di malattie da 10 anni, colpito
da bombardamenti unilaterali che continuano a distruggere e a seminare la
morte, ma di un Paese che da 10 anni deve affrontare la contaminazione
radioattiva, con le sue terribili conseguenze: nascita di centinaia di
bambini con malformazioni, migliaia di persone colpite da collasso del sistema
immunitario, con forte aumento delle infezioni; altre malattie che sviluppano
herpes e herpes zoster o sintomi simili a quelli dell’AIDS, disfunzioni renali
ed epatiche, aumento spaventoso (fino a 450% l’anno nel sud del Paese)
di leucemia, anemia aplastica o neoplasie maligne”.
Militari cinesi |
Questi sono solo alcuni passaggi della lunga lettera di padre
Benjamin a Kofi Annan e l’intera lettera è il racconto di un immenso orrore che
“noi” occidentali abbiamo riversato sul popolo iracheno, che tuttora, in questi
stessi giorni in cui noi soffriamo il coronavirus, non conosce pace, ma solo
paura, desolazione, miseria e morte. Dopo trent’anni dal primo, “nostro”,
attacco!
Nel 2011 un esercito immenso e spropositato, sotto il comando
degli USA e della NATO e con una forte presenza militare italiana, attacca la
Libia. Gheddafi, con Mandela, aveva pensato ad un’Africa unita e autonoma dagli
USA, dal dollaro e dall’Occidente capitalistico.
Militari arabi |
Mai l’avesse pensato! La
“nostra” risposta è stata la distruzione della Libia, la messa a ferro e a
fuoco dell’intero Paese. Centinaia di migliaia di morti libici, centinaia di
migliaia di profughi libici. Dal 2011 distruzione degli ospedali, delle scuole,
delle città, delle case. Un intero popolo, per anni e anni e sino ad ora,
gettato nella disperazione quotidiana, nella paura, nella malattia, nella
miseria. In questi primi giorni in cui in Italia si soffre per la paura del
coronavirus e si soffre il disagio di restare chiusi nelle case, si pensi al
milione e mezzo di libici che in queste stesse ora vivono senza casa, senza
acqua, senza lavoro, senza assistenza sanitaria, morendo di tutto. E tutto ciò
non da pochi giorni, ma dal 2011 e per colpa della “nostra” guerra!
Militari turchi |
La stessa distruzione in Siria: gli USA, la NATO, l’Ue non
volevano Assad e via con il massacro bellico. 300 mila morti, un milione di
profughi, la vita di un intero popolo, il popolo siriano, diventata un inferno
quotidiano, un inferno da vivere, per anni e anni, attorno alle macerie della
propria casa, con la morte dei bambini per denutrizione e malattie semplici da
curare ma mortali per l’assenza dei medicinali, trascinando l’esistenza, per
anni e anni, da una maceria all’altra, da un fuoco di guerra all’altro, da una
morte all’altra. Tutto vicino a noi, oltre il nostro mare, ma nella nostra quasi
totale inconsapevolezza. Non vedendo nulla o fingendo di non vedere nulla,
negli agi precedenti il coronavirus.
Militari israeliani |
E morti e distruzione, fame, miseria, leucemia per uranio
impoverito nella guerra appena al di là del Mare Adriatico, contro la
Jugoslavia, guerra degli USA, della NATO, dell’Italia. E guerra nazifascista in
Ucraina, “golpe” fascisti con fiumi di sangue, voluti dagli USA e dal “nostro”
Occidente, nei Paesi dell’America Latina, da Pinochet ai nostri giorni, contro
Lula e Morales. E la vita terribile, come in un lager lungo 50 anni, del popolo
palestinese, a poche ore di volo da noi.
Militari giapponesi |
Tutto ciò non certo per sminuire la paura e il pericolo che in
questi giorni soffriamo, anche in Italia, soprattutto in Italia, per il
coronavirus. Non per questo. Ma per capire, ora che anche noi soffriamo, quanta
sofferenza abbiamo disseminato! E per relazionarci con la questione che oggi
tutti sollevano: “Dopo l’epidemia niente potrà essere come prima”. Bene:
solo a partire dalla consapevolezza di quanta sofferenza, quanta morte, quanta
paura, quante malattie, quanta distruzione abbiamo gettato “noi”, occidentali e
imperialisti, “noi” italiani nel mondo, solo negli ultimi anni, anche vicino ai
nostri confini, anche per garantirci il nostro alto livello di vita, solo così
potremmo far sì che davvero “nulla più sia come prima”.
Militari nordcoreani |
Nel senso che si
potrà uscire dalla paura che oggi dissemina il coronavirus solo attraverso una
nuova società solidale, solo attraverso il pensiero dell’uguaglianza, delle
garanzie sociali (valore collettivo ben più grande di un’automobile di lusso,
di un viaggio alle Maldive: ora lo capiamo?), l’abbandono dell’egoismo
individualista e capitalista. Un
pensiero che ci porti a vivere gli altri popoli come fossero il nostro popolo,
come fossimo noi, a vivere le sofferenze degli altri popoli come fossero le
nostre. E se ciò non accadrà, se “dopo non cambiasse nulla”, anche la
nostra attuale sofferenza sarebbe stata vana.
Militari italiani |
Non avremmo capito perché, nel punto alto
dell’attacco del coronavirus, gli ospedali italiani non bastavano a
fronteggiare quell’attacco, perché i medici e gli infermieri erano
insufficienti, non avremmo capito nulla delle politiche liberiste, capitaliste,
imposte dall’Unione europea quali basi materiali della distruzione dell’intero
stato sociale. Non avremmo capito nulla
del perché, anche al tempo del coronavirus, i più ricchi avevano potuto molto
più agevolmente difendersi dall’epidemia, anche curandosi o appartandosi in
cliniche private di lusso, in resort di lusso, come ora accade.
Militari indiani |
Ricominceremmo
a camminare ciechi, avidi, feroci, di nuovo portatori di morte per gli altri
popoli. E per il nostro popolo, di noi stessi, uno per uno. Perché non
cambiare, non invertire il cammino collettivo altro non porterebbe che a
spalancare di nuovo le porte, un giorno o l’altro, a nuove sofferenze, a nuovi
e sempre ciclici drammi sociali. Perché la legge capitalistica non perdona.
Essa esporta ed importa la sofferenza, la paura e la morte con brutale
uguaglianza.