di
Raffaele Kohler
Raffaele Kohler foto di Stefania Andrello |
I milanesi impegnati nella
legalità e nell’antimafia, hanno sentito suonare in pubblico in più occasioni
il trombettista Raffaele Kohler: lo hanno sentito davanti all’albero piantato
in onore di Falcone e Borsellino nei giardini di via Benedetto Marcello; per il
generale Dalla Chiesa e sua moglie; per l’avvocato Ambrosoli. Di recente (9
febbraio 2020) lo ha fatto anche per il frate e poeta padre David Maria
Turoldo, davanti al giardino che gli abbiamo fatto dedicare in Largo Corsia dei
Servi, e dove abbiamo letto versi e reso un caloroso omaggio. “Odissea” che lo
aveva invitato a suonare, gli ha chiesto di parlarci del suo magnifico
strumento. [A. G.]
Mi
chiamo Raffaele Kohler e sono nato a Milano nel 1981. Quando avevo l’età di 12
anni mia madre tornò a casa e chiese a noi figli: “Ma se io comprassi una tromba, qualcuno
poi la suona?”.
Mio fratello
più grande rispose che non gli interessava perché già suonava la chitarra, mia
sorella più piccola rimase zitta e allora mi feci avanti io e dissi di sì.
Andammo insieme in un negozio in centro a Milano e tornammo a casa con quel
magnifico strumento. Prendendolo
tra le mani mi dissi: “Con questo oggetto di ottone mi guadagnerò da vivere per
sempre”.
Raffaele Kohler foto di Stefania Andrello |
Ebbi la fortuna di iniziare a studiare privatamente con il grande Maestro Emilio Soana, di ricevere in dono da mio padre una collezione infinita di vinili jazz, di aver potuto imparare l’arte dell’improvvisazione da mio fratello e di iniziare a sperimentare la mia musica per le strade di Milano.
La
fortuna, poi,
continuò venendo ammesso al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, dove incontrai il
trombonista Luciano Macchia, con il quale - da ben più di vent’anni - condivido il lavoro più bello e più strano del
mondo.
È il più bello per l’appagamento che ogni volta hai dopo ogni concerto di qualsiasi genere di musica e per qualsiasi tipologia di pubblico e il più strano per le variabili infinite che puoi incontrare e scoprire durante la tua carriera.
Devo
dire che la mia passione per questo lavoro è legata soprattutto al mio
strumento, alla praticità che si ha nel portarlo in giro, la potenza sonora che
può emettere, le emozioni arcaiche che suscita negli ascoltatori e la possibilità di
poterlo inserire in qualsiasi contesto musicale. Se mia madre non mi avesse fatto quella
domanda,
quasi sicuramente non sarei diventato un musicista.
Quindi
posso dire che per me la musica ha una precisa materia, l’ottone.