COSA
INSEGNA L’EMERGENZA DEL CORONAVIRUS
1.- Il prezzo più alto all’epidemia di CoVid-19
lo sta pagando una fascia della popolazione che ne subisce i rischi in misura
sproporzionata, cioè gli anziani. A fronte del 22% di persone al di sopra dei
65 anni nella popolazione generale, tra i contagiati sono il 56%, mentre tra i
morti l’87% ha più di 70 anni e solo il 2% meno di 65 anni. Molti di questi
anziani sono fragili perché hanno diverse malattie croniche, sono soli e vivono
in situazioni socialmente svantaggiate. A queste persone il servizio sanitario
disegnato dalla regione Lombardia, frammentato, centrato sugli interventi
specialistici, povero di risorse territoriali, non integrato coi servizi
sociali, dà solo risposte in emergenza, e forse tra poco neanche quelle, visto
che si parla di contingentare l’accesso alle terapie intensive a secondo della
speranza di vita.
2.- L’impatto dell’emergenza si è riversato in
tutta la fase iniziale esclusivamente sulla rete ospedaliera pubblica. Il
settore ospedaliero privato, nonostante la sua espansione degli ultimi anni e
l’assorbimento di ingenti finanziamenti regionali, è stato chiamato in ritardo
a dare il suo contributo, che è rimasto comunque limitato. D’altronde, in
questi anni, anche se teoricamente coordinati dalle ASST pubbliche nel quadro
della Rete integrata di
continuità clinico assistenziale, gli operatori privati si sono strutturati in
modo autonomo, organizzando e gestendo i propri servizi nei settori meno
costosi e con le tariffe più remunerative, non in relazione ai bisogni sanitari della
popolazione. Basti ricordare che i posti privati per le malattie infettive sono
solo il 6% del totale (uno solo reparto) e i posti in pneumologia il 7%, a
fronte del 74% dei posti in recupero e riabilitazione. Inoltre è chiaro che
nelle emergenze il settore privato va sollecitato, non è immediatamente
disponibile e il suo ruolo al di fuori dei contratti stabiliti con la regione
va rinegoziato. Non a caso il
presidente Fontana il 1° marzo, dopo aver concluso un accordo con gli operatori
privati li ha ringraziati perché hanno dichiarato la volontà di collaborare. La collaborazione quindi non era un atto
dovuto, ma una concessione che meritava un ringraziamento. Non è dato sapere
quante risorse aggiuntive e quali modifiche degli accreditamenti questo accordo
sia costato alla regione, né quale sia stato nei giorni successivi l’effettivo
uso delle strutture private per i casi con coronavirus. Solo domenica 8 marzo
una disposizione regionale ha assegnato con precisione un ruolo agli ospedali
privati, individuando cinque strutture private tra i diciotto ospedali
destinati alle urgenze e ai grandi traumi, mentre gli altri sono impegnati per
il CoVid-19.
3.- Il personale ospedaliero si è speso al
massimo, con un costo umano che ha messo in luce le difficoltà derivanti da
anni di sottrazione di risorse umane e strutturali, indicate in primo luogo
dalla riduzione dei posti letto ospedalieri giunti a un tasso assai inferiore a
quello delle regioni europee con cui la Lombardia va confrontata. È stata da
tutti sottolineata la crisi in cui si trovano le terapie intensive, ma va
sottolineato che l’insufficienza degli 850 posti disponibili in Lombardia era
già emersa due anni fa in circostanze assai meno drammatiche, di fronte al
picco di influenza che si era verificato nella stagione invernale. Tuttavia
nulla è stato fatto. Ora i doverosi provvedimenti di emergenza devono essere
rapidamente seguiti da un incremento stabile delle risorse umane, tecnologiche
e strutturali da assegnare a questo settore quando l’emergenza sarà cessata.
4.- Un
problema emergente è quello delle prestazioni chirurgiche in corso di riduzione
negli ospedali prevalentemente dedicati al CoVid-19. Questo riguarda in
particolare i trattamenti chirurgici oncologici, per i quali la Regione ha
richiesto una stima del numero di interventi per patologia e le priorità delle
stesse a seconda della gravità, in previsione di una ricollocazione degli
interventi in strutture dedicate. il rischio è che il privato accreditato,
dotato di maggiori risorse in alcuni settori, venga privilegiato accogliendo un
grande numero di prestazioni chirurgiche che il pubblico non può sostenere per il
progressivo impoverimento di risorse degli ultimi anni. In mancanza di
un’accurata programmazione i privati potrebbero anche selezionare gli utenti
con patologie più convenienti dal punto di vista dei piani tariffari. Pertanto
la Regione ha il dovere di essere il più trasparente possibile, rendere note le
indicazioni, le priorità per patologia e i percorsi disegnati, le valutazioni
delle risorse disponibili e l’equa distribuzione tra le strutture pubbliche e
accreditate.
5.- Il settore delle cure primarie non ha potuto
dare un contributo rilevante alla gestione dell’emergenza riducendone l’impatto
sugli ospedali. È emerso l’isolamento dei medici di medicina generale, carenti
di mezzi, poco sostenuti dalle ATS e dalle ASST, che non hanno svolto un ruolo
efficace di coordinamento. La
richiesta di dispositivi di protezione individuale avanzata già a metà febbraio
dai maggiori sindacati medici non ha avuto esito alcuno. L’assenza
programmatoria della Regione è stata evidente anche nel procedere all’acquisto
di questi dispositivi. Paghiamo la scarsa
presenza di servizi
territoriali in grado di fornire degenze di comunità a bassa intensità,
assistenza domiciliare, integrazione tra interventi sanitari e supporto
sociale. I Presidi Ospedalieri Territoriali e i Presidi Socio-Sanitari Territoriali,
teoricamente punto di primo riferimento per l’assistenza alla popolazione, sono
pochi, dispersi e male organizzati. È necessario modificare completamente il modello lombardo delle cure
primarie, attraverso la medicina di gruppo, la sanità di iniziativa e l’organizzazione
multidisciplinare integrata dei servizi in Case della Salute.
6.- È
indispensabile una forte collaborazione coi comuni per organizzare una rete
assistenziale che gestisca tutte i casi che non sono in fase acuta, o che
l’hanno superata, ma necessitano di assistenza e di protezione nel percorso di
guarigione o per ridurre la trasmissione del contagio se non hanno sintomi. Non
risulta neanche siano stati forniti dispositivi individuali a chi convive con
persone con positività accertata. Non è pensabile l’isolamento a casa di
anziani spesso soli o privi di un supporto familiare efficace, senza un
sostegno intensivo a domicilio. Ricordiamo che in Lombardia il numero medio di
membri per nucleo familiare è inferiore a due e anche nei nuclei di due membri,
se sono anziani, uno spesso non è autosufficiente.
Elaborazione grafica di Giuseppe Denti |
7.- È importante che
l’emergenza abbia messo in luce la necessità di colmare la carenza di personale
nei servizi sanitari e siano stati predisposti provvedimenti per affrontare il
problema. Tuttavia le soluzioni emergenziali non sempre sono utili. La Regione
Lombardia aveva
inizialmente prefigurato la soluzione molto discutibile di consentire alle
strutture private di reclutare e cedere personale alle strutture pubbliche
senza alcuna intermediazione della regione e senza meccanismi concorsuali. Ora
il recente decreto governativo permette soluzioni diverse per l’assunzione di
personale, prevedendo la possibilità di affidare incarichi a tempo determinato,
previo avviso pubblico con selezione per titoli e colloqui orale, per un anno. Il
decreto specifica che gli incarichi non sono rinnovabili, ma la Regione deve
consentire che alla scadenza vangano attivati concorsi per inquadrare i
sanitari a tempo indeterminato. È questa la via da perseguire, permessa
anche dalla delibera regionale sulle assunzioni di qualche giorno fa. Questa
delibera indica anche altre modalità di assunzione su cui va espressa invece
una ferma opposizione, cioè le collaborazioni libero professionali, il
reclutamento tramite cooperative, agenzie interinali o altre forme di
esternalizzazione dei servizi che alimentano serbatoi di personale precario e
sottopagato.
8.- Le incertezze nella gestione dell’emergenza
da parte delle regioni, inclusa la Lombardia, lo scarso coordinamento tra esse,
le differenze di impostazione e modelli operativi di intervento, hanno reso
chiaro per l’opinione pubblica quanto sarebbe negativo l’impatto del
regionalismo differenziato in sanità, rivendicato dalla Lombardia e da altre
regioni. Il decentramento regionale senza limiti in sanità non è solo fonte di
disuguaglianze ma di inefficienze. C’è invece bisogno di centralizzazione,
uniformità di interventi e programmazione nazionale. Per questo va
immediatamente riaperta la battaglia politica per bloccare l’autonomia
differenziata, a livello regionale e nel parlamento nazionale.
9.- Non ci si può
sottrarre all’impressione che i provvedimenti della regione Lombardia abbiano
lo scopo sottaciuto di rafforzare e ampliare il ruolo della sanità privata,
creando fatti compiuti da rendere permanenti appena l’epidemia di CoVid-19 sarà
superata. Questa emergenza, invece, è la
dimostrazione che il modello lombardo basato sul mercato, anche nell’ultima
versione introdotta dalla legge 23 del 2015, non è gestibile e forse non deve
essere gestito volutamente per lasciare libertà di manovra ai privati. Le
carenze gravi del sistema, con la riduzione
continua dei servizi di prevenzione e cura nei settori meno remunerativi per la
sanità privata, sono evidenti. È tempo
di rivedere la sanità lombarda restituendo ai cittadini un servizio fondato
sulla sanità pubblica e l’integrazione coi servizi sociali, che garantisca
continuità di cura ed equità di accesso a tutela della salute di tutti, come previsto
dall’art. 32 della Costituzione.
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