di
Franco Astengo
L’Europa
del capitalismo maturo sta rischiando il collasso nell’insieme del sistema
fondato sulla democrazia liberale, il consumismo individualistico, l’egoismo
conservatore delle classi. La visione di un progresso inestinguibile appare,
infatti, sottoposta ad una torsione storica che ripropone un ritorno
all’indietro impensabile fino a qualche tempo fa.
Guerre
ed epidemie stanno disegnando uno scenario da Medioevo.
La
risposta della destra isolazionista sta mostrando la corda della concreta
impraticabilità, ma appare insufficiente anche la richiesta di tornare
all’usato schema del welfare socialdemocratico.
Il
fallimento degli inveramenti statuali tentati nel ’900 sulla base di quelli che
abbiamo definito come fraintendimenti marxiani rende il quadro ancora più cupo,
rispetto alle prospettive possibili nella dimensione epocale.
Emerge
il ritardo nel definire la capacità di percorrere, prima di tutto sul piano
teorico, un passaggio molto delicato: quello della
necessità di rappresentare politicamente l’insieme delle contraddizioni o
fratture sociali emergenti. Negli anni ’90 del
XX secolo si era imposta una sorta di “visione tecnocratica”, il cui “ubi
consistam” era basato sull’idea dell’eternità di una “società affluente” che
rendeva ineluttabile lo spostamento definitivo dei valori e dei principi che
avevano ispirato il formarsi della sinistra politica nelle sue diverse
declinazioni. Sul piano culturale si era poi affermata, fino al punto di
assumere forza egemonica, l’ineluttabilità dell’accentuarsi delle
disuguaglianze economiche e sociali.
Le
disuguaglianze erano ormai intese come il solo motore possibile per far
marciare un’economia ormai esclusivamente fondata sul mercato finanziario e il
presupposto indispensabile per la definitiva affermazione di un sistema
politico nel quale il vecchio schema liberal-democratico fondato sul confronto
parlamentare si modificava attraverso l’esercizio di un metodo fondato sull’
“estetica del pubblico”.
Le
contraddizioni della modernità reclamano invece il ritorno a una riflessione
attorno alle coordinate possibili di un indirizzo di sviluppo alternativo allo
scenario esistente. Occorre rilanciare l’esigenza di tornare a “pensare in
grande” un diverso modello di futuro. Non è sufficiente pensare al ritorno del
“welfare” o alla”green economy”: serve qualcosa di più ampio e strutturalmente
orientato nel suo complesso. La ricostruzione di un intreccio tra etica e
politica potrebbe rappresentare il passaggio fondamentale per delineare i
contorni di una “società sobria” avendo come base di proposta una nuova “teoria
dei bisogni”. Va posta al centro la prospettiva di una società alternativa a
quella fondata su di un’economia dell’arricchimento e dell’individualismo
competitivo.
Un’economia
dell’arricchimento che, come abbiamo visto, trova la sua pertinenza non nel
concetto di utilità sociale ma di accumulo privato.
Un
accumulo privato inteso come collezione di beni riservati a una fetta
piccolissima di popolazione. Ciò che sta accadendo attorno a noi in questi
giorni dimostra con grande chiarezza tutta la distorsione che provoca
nell’insieme della prospettiva umana questo modello basato sulla “voracità
soggettiva”. Sono tre le grandi questioni che debbono essere affrontate
ripensando anche ai nostri lasciti identitari.
Sul
recupero di una capacità d’analisi e di progetto deve essere fondata una nuova
idea politica di uguaglianza e solidarietà sociale:
1) Lo sfruttamento
dell’individuo e del collettivo: il meccanismo, davvero chiaro, della
costrizione nella “condizione di classe”.
2) Il rapporto tra consumo
del pianeta in termini complessivi di suolo e di risorse naturali e la stessa
prospettiva di vivibilità del genere umano (dentro a questo punto stanno
richiamo alle guerre e alle epidemie: i grandi temi dell’attualità);
3) Quella della capacità
cognitiva, in termini globali di formazione, informazione, capacità di
trasmissione di notizie e cultura e quindi di educazione globale.