di
Fulvio Papi
Poco
dopo la fine della guerra andai a trovare mio nonno a Villanova. Passeggiavamo
sotto i portici quando un signore molto dignitoso con un sorriso accogliente ci
venne incontro. Mio nonno si mostrò ben lieto di rivedere un amico, e rivolto a
me disse con un tono che appartiene alla verità senza sapere perché: “È il
signor Namias, nostro parente alla lontana, di sicuro, ma non so perché”.
Avevo
un’età in cui mi era già un poco difficile badare a me stesso, figuriamoci poi
se mi sarei soffermato sui nomi e sui misteri che non cambiavano nulla nella
mia vita.
Dovevano
passare secoli, e provare anche un po’ di fastidio per quell’età così lontana,
quando un giorno, dopo una conferenza alla Fondazione Corrente, mi venne
incontro una fanciulla studiosa di estetica e che conoscevo già, e mi disse con
sicurezza: “Lei non si chiama Papi”.
Lo
stupore per la curiosa proposizione durò l’attimo di un sorriso sufficiente per
chiedere: “E allora come mi chiamo?”. Risposta: “Lei dovrebbe chiamarsi Namias”.
La fanciulla ed io venimmo subito assimilati a un gruppo di amici e il nome
restò nell’aria come un pallone festivo, almeno per quanto riguardava la mia
accoglienza di questo nome.
Più
tardi mi ricordai della presentazione molti anni avanti di mio nonno e mi
ritornò alla mente quel nome. Raccontai la curiosa vicenda a mio figlio
professore di architettura e buon scrittore al modo attuale. Non era il
personaggio che, come me, non dà ascolto alle sorprese, e volle vederci chiaro.
Non mi disse in quale ricerca si fosse impegnato, ma, alla fine mi raccontò
questa storia.
“Noi
un tempo ci chiamavamo Namias ed eravamo ebrei. I nostri antenati erano
commercianti nello Stato pontificio, il quale un giorno decise che avrebbe
chiuso il commercio con gli ebrei. Costoro, per non perdere gli affari, si
convertirono subito al cattolicesimo e il loro nome divenne: “Namias dei Papi”.
Poi con gli anni Namias venne soppresso e rimase il cognome “de Papi”, come è
superstite in Germania “von Papen”. Tuttavia il “de” in italiano spesso indica
una appartenenza nobiliare che non spettava a questo gruppo familiare e quindi,
probabilmente, nel Settecento, rimase il solitario Papi”.
Dal
canto mio ho fatto una brevissima ricerca a Novellara, il paese dove la famiglia
di mio padre abitava certamente da più di un secolo, non so se cattolici devoti
prima di diventare socialisti. Mio nonno era falegname, suo nonno infermiere,
anche se non so che mestiere di preciso fosse il suo. In ogni caso come ebrei o
come socialisti, saremmo stati sterminati dai nazisti. Come Papi invece, da
secoli eravamo di “razza ariana”, come diceva un documento della mia scuola
elementare che doveva avere un valore scientifico. Il Namias di Novellara
doveva avere invece una storia del tutto diversa e molto più nobile.