di Franco Astengo
Roberto Esposito sotto il titolo “La biopolitica e il
potere” ha affrontato (La Repubblica 29 febbraio) il tema dominante nella più
stretta attualità: quello dell’emergenza sanitaria.
Alcuni passaggi del suo intervento
meritano di essere rimarcati proprio perché sollevano questioni di fondo:
1)Il mutato
rapporto tra autonomia della scienza e della tecnica (in questo caso sanitaria)
e i diversi livelli di decisionalità politica. L’egemonia della scienza e della
tecnica appare fattore determinante nel definire gli equilibri a livello
geopolitico;
2)L’intreccio
tra politica e vita biologica (l’autore affronta l’argomento nella prima parte
del suo testo) finisce con il provocare uno spostamento delle procedure
democratiche ordinarie verso disposizioni di carattere emergenziale. Ciò
avviene in una fase di forte crisi della democrazia liberale dovuta al processo
di cessione di sovranità da parte dello “Stato-Nazione”. Cessione di sovranità
avviato fin dagli anni’ 90 in due direzioni: verso il decentramento interno e
verso la sovranazionalità.
In Italia il quadro complessivo è
condizionato inoltre dalla debolezza del sistema ormai da molto tempo in forte
difficoltà di legittimazione.
Una difficoltà di legittimazione dovuta a
ragioni molto complesse legate al mutamento nella struttura politica, in
particolare al riguardo del sistema dei partiti su cui si era basata per lunghi
decenni la nostra identità repubblicana e la nostra vita istituzionale sia a livello
parlamentare sia nelle autonomie locali. In
questi giorni il nodo della decisionalità d’emergenza è apparso quanto mai
intricato da sciogliere rispetto alla relazione “centro-periferia”.
Quella tra “centro” e periferia è apparsa
come una frattura tornata a definirsi come “dominante” nel quadro di un
modificarsi non ancora sufficientemente analizzato dell’insieme di stridenti
contraddizioni che stanno emergendo nella “modernità”.
In questi giorni si è anche tentato di
proporre una “Costituzione materiale” fondata sul rimodellamento della
struttura dello Stato nel senso di un riaccentramento dei poteri. Un riaccentramento dei poteri addirittura minacciato
da un Presidente del Consiglio capace di perpetuare sé stesso cambiando
maggioranza, senza mai essere passato da una prova elettorale.
Ovviamente, negli anni scorsi, sul
terreno del decentramento dello Stato e del cosiddetto “federalismo” sono stati
commessi degli errori, valutando malamente proprio il riaffacciarsi della
frattura “centro-periferia”. Si prenda ad esempio la frettolosa modifica del
titolo V della Costituzione attuata dal governo di centrosinistra nella fase
finale della legislatura 1996-2001 e la messa in moto dell’infernale macchina
(mascherata dalla ricerca della stabilità di governo) dell’elezione diretta di
Presidenti e Sindaci, una modifica rivelatasi fonte di sprechi immensi e di
ulteriore distacco tra i cittadini e le istituzioni. Adesso, però, è in atto un
tentativo di passaggio verso una situazione nella quale le leve del potere principale,
quello di erogazione delle risorse, ritorna come elemento competitivo tra il
potere centrale e quello locale. Entrambi
i soggetti intendono usarlo ancora una volta - in funzione di una proposta di
contrattazione da “scambio politico”.
Le ordinanze amministrative, emanate
approfittando della presunta emergenza, stanno già (provvisoriamente?)
modificando quei rapporti tra la prima e la seconda parte della Costituzione
Repubblicana che avevamo, a suo tempo (referendum costituzionali 2006 e 2016),
giudicato intangibili proprio per via del sottile equilibrio esistente tra
diritti, doveri e attuazione delle norme in materia delle strutture operative
dello Stato e della società.
Si sono così mutate le condizioni della
vita quotidiana variando i canoni stabiliti della relazione tra ii necessari
riferimenti di governo della cosa pubblica.
L’emergenzialità imposta dalla prevalenza
della biopolitica capace di imporre una sudditanza alla politica che ha “sbiadito
le proprie coordinate ideologiche” (ancora Esposito nell’articolo citato)
ha così determinato uno scontro inedito tra l’esercizio del potere di
decisionalità e l’incombenza dettata dai bisogni del territorio. Uno scontro
sul quale si sono misurati i diversi livelli istituzionali con andamenti ed
esiti perlomeno opinabili. Emergono così tutte le storture di modelli di
sviluppo posti in maniera sbagliata sul piano della competizione interna e
internazionale (come nel caso del Veneto).
Nel sistema politico italiano non
sembrano stare più al loro posto i soggetti di intermediazione sociale, di
aggregazione del consenso, di formazione dell’opinione pubblica realizzata
attraverso l’esercizio di una funzione di pedagogia di massa.
Formazione dell’opinione pubblica,
funzione di pedagogia di massa, aggregazione del consenso, intermediazione
sociale: tutti compiti ormai affidati ad agenzie “esterne” al sistema politico.
Agenzie “esterne” operanti
prevalentemente nel campo dell’illusionismo mediatico che rispondono a proprie
specifiche sollecitazioni socio-economiche e agiscono per interessi di
carattere sicuramente particolare, corporativo se non addirittura di natura individualistica
come avviene attraverso l’utilizzo dei social network.
Tutto questo si sta verificando in
assenza - tra l’altro - di quegli organismi sovra-nazionali cui erano state
demandate nel tempo una parte delle prerogative statuali.
Ci sarebbe da discutere a fondo su questi
temi ma pare ci si stia riducendo a schermaglie per arrivare semplicisticamente
all’esercizio di un potere quanto mai effimero e inconsistente rispetto al
velocissimo mutamento in atto nella realtà delle cose concrete.