di
Marco Vitale*
Marco Vitale |
Il Coronavirus, da come ce lo
descrivono e dai suoi comportamenti, possiamo immaginarlo come un giovane pieno
di energia, di voglia di vivere, di crescere, di viaggiare in tutto il mondo. Purtroppo
per lui si scontra con le nostre esigenze di sopravvivenza e verrà, prima o
poi, domato dai potenti mezzi della scienza umana. Ma, essendo un giovane
generoso, non si limita a liberarci dai vecchi, già ammalati come tanti
telegiornali ci annunciano quasi con un sospiro di sollievo, (la peste è anche
una scopa, diceva Don Abbondio), ma cerca di donarci degli utili
ammaestramenti, dei quali dovremmo cercare di fare tesoro. Su alcuni di essi
possiamo, in tutta umiltà, tentare qualche prima riflessione, con particolare
riferimento alle problematiche delle organizzazioni.
1.- Cigno nero o cigno bianco
L’economista Nouriel Roubini ha affermato che il Coronavirus
non è il classico cigno nero che scompiglia le carte, ma è un tradizionale
cigno bianco, cioè un rischio che era prevedibile ancorché sottostimato.
Roubini sbaglia. È vero che da tempo si parla del rischio generale di pandemie
accentuate nel mondo globalizzato. Ma nessuno aveva seriamente valutato la
possibilità, e quindi il dovere, di prevedere se, quando e con che velocità ed
intensità sarebbe scoppiata la prossima pandemia. Dunque il Coronavirus
rientra, a pieno titolo, nella nobile categoria dei cigni neri. Le imprese devono
avere delle riserve (di flessibilità, reddittività, difesa finanziaria) per
fronteggiare e, comunque, attenuare i danni dei cigni neri. Che, sempre,
prima o poi, arrivano. E quando non ci sono riserve e non si è preparati
possono fare molto male. E questo è il primo ammaestramento.
2.- Smart working e telelavoro
Grazie al Coronavirus molte imprese, soprattutto di servizi,
anche della Pubblica Amministrazione, e perfino del sistema giudiziario, hanno
finalmente scoperto questi oggetti misteriosi chiamati “smart working” (lavoro
da casa) e telelavoro (in collegamento a distanza). Esse si stanno rendendo
conto che questa forma di riorganizzare il lavoro, nella quale l’Italia è
terribilmente arretrata, ha dei vantaggi semplicemente enormi sia per le
imprese che possono praticarla, che per il sistema logistico ed il territorio
che per il benessere del loro personale. Se questo secondo prezioso
insegnamento del giovane virus avrà il tempo di penetrare finalmente a fondo
nella testa dei nostri manager e imprenditori, il vantaggio, in termini di
produttività, del sistema Italia sarà enorme e ripagherà di tanti disagi. Ma
per praticarlo in modo stabile bisogna organizzarsi, prima nella testa poi
nelle procedure. È un vero e proprio percorso di riorganizzazione culturale che
è necessario realizzare, anche grazie allo stimolo del Coronavirus.
3.- Fiducia e lavoro
Forse, una volta, il lavoro si basava su rigide gerarchie, sul
comando imperioso, sull’adesione passiva del lavoratore. Ma oggi il lavoro, e
soprattutto il buon lavoro, si basa sul rispetto e sulla fiducia dei
collaboratori verso i capi e dei capi verso i collaboratori. Fiducia vuol dire
responsabilità, credibilità, autonomia, ma non anarchia e quindi con rispetto del
sistema se questo è giusto, trasparente, compreso e condiviso. Il Coronavirus
ci ha fornito qui un ammaestramento limpidissimo, per chi vuole intenderlo.
Dopo una prima fase di reazioni tutte giocate in termini: noi, italiani, siamo
i migliori; noi, governanti degli italiani, siamo i migliori dei migliori;
perciò lasciate fare a noi che sappiamo come fare; e voi obbedite e basta;
quando è emerso con la forza delle statistiche che il sistema produceva
risultati cattivi, tra i peggiori del
mondo, è partita (insieme a tentativi di addolcire le statistiche) una nuova
fase di appelli, talvolta piagnucolosi, alla fiducia. Dovete avere fiducia,
dovete dare fiducia, dovete dispensare fiducia, dovete comportarvi con fiducia,
guardate alle nostre eccellenze, guardate allo Spallanzani dove hanno guarito
persino due cinesi ammalati molto gravi che, forse, avevano persino mangiato
dei topi; e poi tutti i morti sono vecchi ed erano già ammalati di loro (in
fondo lo dicevano anche i greci: la vecchiaia è essa stessa una malattia); è
vero che anche la notizia che ci avevano dato che il virus non si attacca ai
bambini è stata smentita dalle statistiche ma non smentito è il fatto che il
virus sarà molto rispettoso e gentile verso i giovanissimi. Abbiate dunque
fiducia e puntiamo sui giovani! Per fortuna un po’ di fiducia sopravvive nel
nostro popolo persino a questi penosi appelli, ma sopravvive perché tanta gente
e tanti operatori sanitari sono mossi dalla fiducia vera, dal proprio impegno e
senso del dovere che non deriva dagli appelli ma da quella che i filosofi greci
chiamavano: la buona indole. Già Lutero scriveva che nelle nostre città ci sono
i diavoli in così gran numero che saremmo certamente spacciati se non ci
fossero anche, tra di noi, tanti angeli che ci aiutano a vivere e a
sopravvivere ai diavoli. La fiducia è importante ma non sprechiamola.
Riserviamola per gli angeli tra noi, impariamo a riconoscerli, rispettarli,
amarli, avere fiducia in quello che ci indicano e ci consigliano. Ma la fiducia
è una cosa molto seria, è la base della convivenza civile, sia nell’impresa che
nella città, non è una concessione, né si può improvvisare. È qualcosa che si
costruisce piano piano, con impegno, coerenza, serietà, amore. Un amico,
bravissimo manager italiano, rifiutò sempre i miei inviti a fare una lezione in
Bocconi e si scusava dicendo: cosa vengo a dire? L’unica cosa che posso dire
seriamente ai giovani è di mettere ogni mattina un buon mattone sopra l’altro
nel modo e nel posto giusto. Ogni mattina! Non si possono trattare a lungo i
cittadini come delle merdazze, non si può derubarli di valori immensi nei
decenni, non si possono organizzare interi settori delle PA non sul merito ma
sull’appartenenza partitica, non si può per decenni umiliare il lavoro rispetto
al potere finanziario, non si possono distruggere le piccole imprese, gli
artigiani, le edicole, le banche territoriali, continuamente inginocchiati di fronte
al grande denaro e al grande potere, e, poi, solo perché sbuca dal nulla un
giovane virus giocherellone, precipitarsi in tivù ad implorare fiducia. Avevo
iniziato a contare questi appelli, ma poi ho desistito tanto frequenti e
totalmente privi di credibilità essi erano. Fiducia a chi e perché e per che
cosa? Dobbiamo certamente avviare un grande lavoro di ricostruzione della
fiducia in Italia, nelle nostre città e nelle nostre imprese. Da qui può e
devono uscire speranza e fiducia. Ma non saranno gli appelli, ma solo il bene
fare prolungato nel tempo, il reiterato e credibile buon governo a scalfire la
muraglia di sfiducia che oggi ci attanaglia.
4.- Organizzazione, fiducia e lavoro.
La buona organizzazione è come la fiducia. Non si improvvisa,
si conquista, giorno dopo giorno, mattone dopo mattone. Senza fiducia non ci
può essere buona organizzazione perché questa richiede la collaborazione di
tutti i partecipanti. Ma senza essere cementata da una buona organizzazione la
fiducia tende a sgretolarsi e disperdersi. Drucker racconta, in uno dei suoi
tanti importanti libri, che nell’esercito americano per formare un elettricista
finito ci voleva un certo tempo. Ma quando scoppiò la grande guerra questo
tempo si ridusse a un terzo. Questo racconto evidenzia una importante verità:
la grande emergenza riduce enormemente i tempi di reazione e realizzazione.
Bisogna diventare tutti più bravi, più veloci, più impegnati, più tesi: fare di
più con meno, fare di più in meno tempo. In altre parole migliorare
l’organizzazione, il che vuol dire diventare tutti più produttivi. Perché
questa accelerazione si verifichi, senza scendere in qualità (gli elettricisti
devono essere comunque finiti anche se preparati in meno tempo) è comunque
indispensabile che preesista una buona organizzazione, capace di ricevere e
guidare le sollecitazioni ricevute dall’emergenza. La vicenda del Coronavirus
rappresenta un ottimo ripasso per questi temi e problematiche fondamentali.
Bisognerà riflettere molto ed imparare, per migliorare non per accusare o
condurre campagne elettorali come alcuni trogloditi della nostra politica
vorrebbero fare. In questo spirito e come semplice contributo alla futura
discussione che mi auguro profonda e onesta, tento alcune prime riflessioni. L’Italia
ha un buon e collaudato sistema per le emergenze che si chiama: Protezione
Civile, che ha già dato buone prove, turbate ma non offuscate da altre prove
meno gloriose soprattutto ai tempi di Berlusconi primo ministro. Ho avuto
l’opportunità di conoscere ed ammirare la Protezione Civile nel suo inizio, ai
tempi del terremoto del Friuli negli anni ’70, e poi di collaborare con la
stessa, in Albania, ai tempi della Guerra del Kossovo. In Friuli ammirai
l’energia e la lucidità organizzativa del suo grande fondatore, il mai
sufficientemente compianto Zamberletti. Il suo pensiero organizzativo era
chiarissimo: una sicura guida strategica e direttiva centrale altamente
professionale, un larghissimo decentramento ed autonomia agli enti territoriali
locali; una fitta rete coordinata di volontari civili animati soprattutto da
passione e senso civico. Questa eccellente impostazione organizzativa è
sopravvissuta anche all’epoca in cui si caricò la Protezione Civile di compiti
impropri al servizio del governo Berlusconi, ed è ancora la sua forza. Anche
nella sfida più difficile, quella attuale del Coronavirus, sta dando buona
prova, soprattutto con la sua capacità di difendere una impostazione rigorosa,
apprezzata anche dall’OMS, dai mille sfilacciamenti sollecitati dalla politica
politicante. Questa sfida presenta però qualcosa di nuovo in quanto richiede un
ruolo fondamentale della conoscenza scientifica e qui tutti, compresa la
Protezione Civile, soffriamo dello scarso ruolo e rispetto che la conoscenza
scientifica gode nel nostro Paese. Si è sentita e si sente la mancanza di un
organo direttivo scientifico di vertice formato da un numero ristretto di
scienziati, capaci di parlare con una voce sola ed autorevole e di zittire il
vocio dilettantesco del circolo mediatico-televisivo-politicante, che è forse
più dannoso dell’esuberante Coronavirus e che è implacabile distruttore di
fiducia con le sue esibizioni televisive pagliaccesche e dilettantistiche. La
Protezione Civile fa parte del Paese serio che resiste, un antidoto alla
sfiducia e dunque dobbiamo volerle bene. Ma se da questa vicenda il ruolo della
scienza nell’organizzazione del nostro Paese farà un passo in avanti dovremo,
lo si voglia o no, essere grati al Coronavirus.
5.- Il sistema italiano delle autonomie locali è
da riformare alla radice
Il tema è chiaro. Lo svolgimento è difficile e non può che
essere affidato ai movimenti giovanili che, confusamente, aspirano ad un Paese
più civile. Impegnatevi per un’Assemblea volontaria costituente autoconvocata
che elabori un ridisegno radicale delle autonomie locali e soprattutto delle
autonomie regionali. Il test è inequivocabile: il Coronavirus ha svelato quello
che già molti sapevano. L’attuale sistema delle autonomie locali, con lo
svuotamento del ruolo dei comuni e il continuo ed esagerato rafforzamento delle
autonomie regionali è inaccettabile. Mai più esibizioni televisive penose come
quelle che ci hanno impartito i presidenti di due grandi ed importanti regioni
come la Lombardia e la Sicilia! Se e quando avremo realizzato questo obiettivo,
saremo più ferrati per affrontare il prossimo Coronavirus.
6.- Il sistema sanitario italiano ha bisogno di
una profonda revisione
Da più di un decennio circola la “fake news” basata su passati
incauti giudizi dell’OMS sorretti da alcune sue statistiche, che il sistema
sanitario italiano è il migliore del mondo con il corollario che essendo il
sistema sanitario lombardo il migliore italiano è proprio quello lombardo il
sistema sanitario migliore del mondo. Gloria dunque a Formigoni ed alla sua
amata Comunione e Liberazione, ai saccheggi perpetrati e provati da sentenze,
alla politica sbilanciatissima a favore di operatori privati, e poi alla Lega
con la sua feroce selezione della classe medica, paramedica e direttiva prevalentemente
in base all’affiliazione ed alla tessera di partito come ai tempi del fascismo.
Sono stato impegnato in Sanità per parecchi anni e devo dire che è stata la mia
esperienza professionale più bella, proprio perché mi ha permesso di capire la
grande professionalità di tanti medici ospedalieri e di tanto personale
paramedico. È un mondo pieno degli angeli di cui parla Lutero contro i diavoli,
affaristi e politicanti, che della sanità si servono per ragioni di affari o di
potere. La sanità lombarda è ancora forte ma semplicemente perché è da 500 anni
che qui si fa buona sanità e buona ricerca medica e il patrimonio accumulato è
molto alto. Ma se non lo si difende schierandosi a fianco degli angeli che lo
proteggono è destinato ad esaurirsi. Certamente abbiamo ancora in Lombardia
degli esemplari di eccellenze medico-scientifiche ed è un patrimonio che
dobbiamo amare. Ma amare vuol dire difendere. Chi conosce la realtà sa che, al
di sotto di queste eccellenze, il sistema lombardo è scosso da tempo da profondi
scricchiolii. La storia che segue non è un’eccezione ma è piuttosto emblematica
di cosa può succedere ad una cittadina normale che è stata colpita dal
Coronavirus ed è ora in autoisolamento a casa sua:
“Il 17 febbraio ero andata dal mio medico di
famiglia con quella che sembrava un’influenza. Non mi ha visitata, mi ha dato
un certificato di malattia di una settimana. Tre giorni prima, venerdì 14 avevo
la febbre, 38 e mezzo. Ma quel che mi ha insospettita, è stata la tosse. Secca,
non passava. Il tampone mi è stato fatto a Treviglio e spedito a Pavia. Martedì
è arrivato il responso: Covid - 19. A Bergamo mi hanno tenuta un giorno e
subito dimessa. Sto bene. Ora, mi auto-monitoro. Certo, a casa, non ci sono
controlli. Potrei andare dove mi pare, nessuno verifica. Ma prima ho chiamato
il 112 per un giorno intero, il 14 febbraio, senza ottenere risposta. Quando a
fine mattina del 15 sono riuscita a parlarci, mi hanno detto che sarei stata
ricontattata dal ministero, ma nessuno si è fatto vivo. Allora mi sono rivolta
al Sacco dove ero stata ricoverata tanti anni fa per una polmonite virale, e
loro mi hanno consigliato di andare al pronto soccorso a Treviglio. E qui è
cominciato il mio calvario. Quando ho detto al medico di guardia che lavoravo
in un’azienda in cui le persone viaggiano in Asia, Corea e Cina, per poco non
mi prendeva a male parole. Mi ha detto che non mi sarei dovuta presentare,
allora gli ho mostrato il telefono con tutti i tentativi che avevo fatto, al
112, al Sacco. A quel punto, lui e i suoi colleghi mi hanno chiusa in un
ufficetto dismesso accanto all’accettazione con due scrivanie, un tavolo per
garze, senza bagno, e mi hanno messa a dormire su una barella volante
recuperata in qualche corridoio. Ho
dovuto usare la padella e un lavandino dove lavarmi. È stato terribile. Sono
rimasta in queste condizioni dal 22 febbraio dalle 19,30 alle 6,30 del 25
febbraio quando sono stata trasferita a Bergamo”.
Anche questa è sanità lombarda. E storie simile a questa si
stanno infittendo a prescindere dal Coronavirus. Vi sono intere zone, come ad
esempio Valtellina, dove la sanità lombarda (anzi leghista) è semplicemente a
pezzi ed è destinata ad un continuo peggioramento, almeno dal punto di vista
dei cittadini e non degli speculatori che pretendevano un nuovo ospedale mentre
l’unica cosa di cui ci sarebbe bisogno è una nuova dirigenza. L’emergenza
Coronavirus mette dunque solo a nudo una debolezza in atto da tempo della
sanità lombarda. Questo non deve peraltro distrarci da altre storie positive bellissime.
Proprio nei giorni in cui esplodeva il Coronavirus sono trascorsi i “cento
giorni dal trapianto” che hanno permesso a Gabry, milanese di due anni, dopo un
eccezionale trapianto delle cellule staminali emopoietiche agli Spedali Civili
di Brescia, di tornare a casa. Gabry, era l’unico italiano affetto da una rara
malattia genetica per cui trovare il donatore (una persona compatibile su
centomila) e la salvezza chirurgica di “Gabry little hero” è stato un miracolo
di amore, generosità, collaborazione, scienza, buona sanità, un miracolo
emozionante. Questa è la sanità lombarda che amiamo ma se vogliamo che
sopravviva e magari si potenzi dobbiamo difenderla. Non si può per decenni
massacrare la sanità, derubarla, tagliarla continuamente, riempirla di
affiliati e poi pretendere che dia il meglio di sé al momento dell’emergenza.
Questo ci dice il Coronavirus: per essere pronti per le emergenze, per i cigni
neri, bisogna essere robusti, avere delle riserve, investire continuamente
nella scienza e professionalità medica e para-medica. Sono proprio scosse come quella inferta dal
Coronavirus che devono renderci più coscienti di che immenso patrimonio sia il
Servizio Sanitario Nazionale e di come proteggerlo dagli affaristi e dai
politicanti sia uno dei maggiori compiti di noi cittadini. Respingiamo alla
radice il modello americano e cacciamo gli affaristi dal tempio della buona
sanità.
7.- Messaggini finali
Avendo percepito da parte nostra se non certo una simpatia
almeno una capacità di ascolto, il giovane Coronavirus ci ha mandato alcuni
messaggini personali che riproduciamo come li abbiamo ricevuti, virgolettati:
- “non capisco se sono ancora in
vigore l’art. 117, titolo V della Costituzione italiana che stabilisce che: lo
Stato ha legittimazione esclusiva sulle seguenti materie: dogane, protezione
dei confini nazionali e profilassi internazionale; e l’articolo 120 della
stessa che stabilisce che il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni,
delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di pericolo
grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica”.
- “non capisco se coloro che
approfittano del mio intenso lavoro per pretendere, in una fase cruciale dello
stesso, un cambio di governo, siano italiani o alieni e perché se sono così
favorevoli alla mia azione non vengano isolati. Io sono un giovane serio e non
mi piace di essere strumentalizzato”.
- “Vi voglio invece, assicurare che
il boom televisivo di virologi o aspiranti tali e di opinionisti e annessi e
connessi, non era stato da me assolutamente previsto. Si tratta di un semplice
effetto collaterale indesiderato. Vi chiedo scusa e, se di interesse, potrei
suggerire ai dirigenti della televisione il nome di un buon psichiatra
specialista”.
- “Non potete eludere la domanda
che, al di là di scuse e manipolazioni, resta quella centrale: come mai, se
siete così bravi come dite, è proprio in Italia che ho mietuto così larghi
successi e dei quali vi sono grato?”
Queste sono le prime riflessioni che ci suggerisce il
Coronavirus con i suoi ammaestramenti. Auguriamoci che la nostra collettività
utilizzi questa dolorosa sfida per migliorare la propria cultura e la propria
organizzazione sociale. Scienza, conoscenza, buona organizzazione, rispetto
reciproco e fiducia devono diventare i pilastri della nuova Italia che
dobbiamo, in gran parte rifondare anche seguendo la mappa del tesoro che il
Coronavirus ci aiuta a tracciare.
[*Economista]